Nel nuovo album “Plaza”, ancora più personale, sono tanti gli ospiti internazionali. Disponibile dal 22 gennaio.
Che il nuovo album di Capo Plaza avrebbe fatto rumore lo si era immaginato fin dalla clip a opera del Don Savastano di “Gomorra”, Fortunato Cerlino («Dite al mondo che lui è tornato. E anche stavolta sta per succerere nu burdel»). Poi è arrivato il primo singolo “Allenamento #4” e ha spazzato via ogni dubbio: subito al n.1 della classifica di Spotify, Apple Music e Amazon Music, ha superato nel giorno di uscita il milione di streaming (ora sono più di 4), oltre all’ingresso nella Global Chart di Spotify.
“Plaza”, questo il titolo dell’atteso secondo album dell’artista salernitano, in arrivo il 22 gennaio, è intenzionato a lasciare il segno. A cominciare dai tre featuring americani: il newyorkese A Boogie Wit da Hoodie, qui presente in “No Streets”, il rapper di Atlanta Gunna, che affianca Plaza in “VVS”, e la nuova stella 19enne del Bronx Lil Tjay, spalla del salernitano in “Richard Mille”. A loro si aggiunge Luciano, rapper tedesco di origini mozambicane, (“Ferrari”), mentre l’unico italiano non poteva che essere Sfera Ebbasta (“Demonio”), stella internazionale del firmamento trap italiano e di fatto scopritore di Capo Plaza nel 2013.
L’album sarà disponibile in vari formati, tra i quali una special edition con un magazine autografato e un esclusivo fumetto che vede Plaza protagonista. Nel magazine, Plaza racconta la genesi del suo nuovo lavoro e tutto quello che gli è successo dall’uscita dell’album d’esordio “20”, miglior album di debutto del 2018, e primo posto per “Tesla” nella classifica annuale dei singoli), a oggi. Il tutto arricchito dalle lettere dei componenti della sua famiglia e delle persone, artisti, produttori e amici che gli sono stati vicino.
«È stato un disco che ho cominciato a fare quasi due anni fa e nel frattempo ci sono state molte evoluzioni», ci racconta. «Abbiamo realizzato più di cento pezzi, ma ci sono state anche tante problematiche legate a questa situazione di pandemia: l’album doveva uscire ad aprile, avevamo un disco completamente diverso che abbiamo dovuto modificare, anzi lo abbiamo completamento rivoluzionato. Sai com’è, nel nostro genere musicale le cose cambiano molto velocemente, la musica si evolve giorno dopo giorno, quindi bisogna sempre essere al passo coi tempi anche a livello di parole, di tematiche e tutto il resto».
Alla fine sei soddisfatto del risultato?
C’è stato un lavoro molto più di studio rispetto a “20”. Con quel disco ero in giro per l’Italia, perché avevo cominciato a farmi conoscere. Questo qua, invece, è stato un disco concepito in studio in questo periodo di quarantena, tanto che gli ultimi 5 o 6 pezzi sono stati chiusi a settembre, in quel momento di lockdown totale che non è stato un bel periodo, sia emotivamente, sia concretamente, a causa del covid. A un certo punto, però, ho deciso che dovevo fare sto disco, punto e basta, e quelle difficoltà mi hanno spinto a superarle, a metterle nelle canzoni e arrivare a fare “Plaza”, il disco che ascolteranno tutti».
Sembra un disco più personale.
«Volevo che in questo disco la mia trap fosse differente: all’inizio del disco c’è una parte è più “aggressiva”, ma alla fine va più sul “conscious”. Il viaggio è proprio quello: si chiama Plaza perché vorrei fare capire, in primis, com’è fatta la persona. “20” era un disco in cui raccontavo anche le esperienze dei miei amici, mentre in questo album sono più esperienze mie, personali. Ci sono dentro le mie vittorie e le mie sconfitte».
Dentro ci sono grandi collaborazioni internazionali.
«Io e Sfera (Sfera Ebbasta, ndr.) siamo gli unici ad avere messo una vera e propria bandierina per fare capire che rappresentiamo il motore, in questo momento, dell’industria discografica italiana e che non siamo ascoltati solo qui in Italia. Per la musica italiana questa è una cosa che va coltivata perché nessuno nel rap italiano è mai riuscito ad andare così avanti. Siamo gli unici due ad avere dei feat. così importanti. Pensa anche alle porte che io e Sfera stiamo aprendo con questa musica, da tre anni a questa parte. Molti ragazzini stanno capendo che c’è una possibilità di sognare e di arrivare, magari, un giorno, a essere un big europeo o, perché no, un big in America. Questo è solamente il primo passo verso quello step».
Spotify ti ha visto affacciarti anche alla global chart…
«Sì, e anche sul video ci sono molti commenti esteri. Non siamo più apprezzati solo in Italia. Io ho fatto un tour europeo e ho fatto sold out in tutti i posti dove sono andato. E questo ti fa capire come questo genere arrivi tanto di più, all’estero, rispetto alla musica italiana che c’è stata per tanto tempo. Che piaccia o no, tanto di cappello a noi che stiamo facendo questo lavoro».
Che effetto ti fa?
«Per me è tutto normale, perché è quello che ho sempre voluto: non ho mai voluto essere un rapper italiano, ma un rapper europeo e poi, magari, andando avanti con gli anni, anche mondiale. Non voglio fermarmi all’Italia, perché so che il mio potenziale va oltre a questo. L’Italia l’ho conquistata piano piano, ora devo pensare a consolidarmi in Italia, ma farmi forte anche all’estero. E quindi è giusto fare collaborazioniu, anzi, le mie non finiscono mica qui, abbiamo appena iniziato: nel 2021 ci saranno molte altre collaborazioni, sia in pezzi miei, sia in brani di altri dove sono io “l’ospite”. Deve essere questa la nostra forza, ci dobbiamo connettere sempre di più per fare capire che il nostro è un mercato valido e che noi questa cultura l’abbiamo e la trap sappiamo farla. Perché alle volte è proprio questo che piace, non se l’aspettano da noi italiani che spacchiamo così tanto, capisci?»
L’unico ospite italiano è Sfera. La chiusura di un cerchio…
«Il mio primo feat. (“Tutti i giorni”, 2014) l’ho fatto con lui e l’ho voluto per questo. Siamo nella top 2, siamo i più forti e non avrebbe avuto senso chiamare un altro. Si chiude un cerchio e se ne apre un altro. Fa capire che, partendo dal nulla, anche facendo due percorsi completamente diversi, alla fine siamo arrivati dove volevamo e fa capire che nella vita si può fare tutto, è uno stimolo: non avevamo niente e ora, nei nostri dischi, abbiamo gli americani più forti»,
La scena campana è molto solida, ma tu, fin dal giorno uno hai sempre rappato in italiano.
«Io volevo arrivare a tutti, non solo alla mia regione. È un rap che stimo molto quello campano, ero il primo ad ascoltare i Co’ Sang da piccolo, ma non volevo appartenere a quella cosa, sono sempre stato più influenzato da un Noyz, da un Guè, dai Dogo».
Quando hai cominciato, da Salerno era uscito Rocco Hunt.
«L’ho sempre rispettato molto, siamo dello stesso quartiere, abitavamo a dieci minuti di distanza. L’ascoltavo tutti i giorni ed era un modo per dire: ca**o, ce l’ha fatta! Siccome sapevo di potercela fare anch’io, mi motivava ancora di più. Io non voglio andare a Sanremo, ma quando l’ho visto là ero contento. So che tipo di persona sia, un ragazzo umile».
Ormai vivi a Milano, Com’è stato l’impatto?
«Ormai è come se fosse casa mia, quasi più di Salerno, perché qui sono diventato adulto. Amo Salerno, ma Milano mi ha dato tanto. Sono sempre qua, ci abito da un anno, ho comprato due case qua, sto facendo investimenti. Non c’è più quella cosa di dire: “Wow Milano!” Mo’ dico: “Wow New York!” Però penso che non ci sia un posto migliore, in Italia, per un ragazzo che crede nella musica e nei propri sogni. Mi ha adottato sia la città sia il Milan (ride)».
Hai pure girato il video di “Allenamento #4” a San Siro…
«È stato bellissimo, con tutti i giocatori che mi supportavano. Ora sono anche amico di alcuni di loro (il video di Leao che ascolta Capo Plaza è diventato virale, ndr.). Un sogno. Simpatizzo per la Salernitana, ma amo il Milan da quando ero bambino. Cosa posso farci?»
Immagino che non sia stato facile gestire un successo così grande e improvviso.
«Me ne sono reso conto dopo, però l’ho affrontato in maniera tranquilla. In questo lavoro ci sono più pro che contro, che poi non sono neppure dei contro. Certo, come ogni ragazzo di 22 anni vorrei andarmene in giro con i i miei amici o al cinema. Poter bere qualche bicchiere in più senza che qualcuno mi riprenda e ne faccia un video… allo stesso tempo è quello che ho sempre voluto. Pazienza, ora il film me lo godo nella mia bella casa di due piani, nel mio tv color a 95 pollici con il mio cane! Devo sempre dire grazie ai fan che mi supportano, grazie pure delle foto che mi chiedono anche quando magari vorrei starmene da solo: il problema sarà quando non mi chiederanno i selfie».
Non ti senti sotto pressione?
«Mi sento sempre sotto pressione. Sono così di mio. Se faccio 100 voglio 150. Se sono a Milano voglio arrivare a New York. Sono fatto così, se non mi motivo io chi lo deve fare?»
Come te lo immagini il primo concerto quando tutto tornerà normale?
«Mi manca un botto. Non riesco neanche a pensarci, so solo che voglio arrivare alla fine senza neanche un filo di voce».
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